Don Italo Calabrò, parroco a San Giovanni di Sambatello

Data

San Giovanni di Sambatello è una frazione di circa 550 abitanti, a 12 Km da Reggio Calabria e a circa 280 metri di altezza sul livello del mare.

Quando don Italo vi arrivò, nel 1964, inviato da mons. Giovanni Ferro e nominato provvisoriamente parroco, trovò una comunità semplice, in cui c’era una grande solidarietà tra le persone, molte delle quali legati da vincoli di parentela e il cui maggiore sostentamento era l’agricoltura.

Culturalmente la società Sangiovannese era caratterizzata da una notevole arretratezza culturale in quanto difficilmente si proseguivano gli studi oltre la licenza elementare e soprattutto le donne, erano relegate a ruoli prettamente casalinghi.

La sua attività pastorale non si limitò, quindi, soltanto alla cura spirituale, ma si ampliò, abbracciando la sfera culturale, educativa e sociale.

Don Italo aveva capito che aveva davanti una società chiusa, con mentalità mafiosa, ma desiderosa di cambiamento e si adoperò per far capire l’importanza dello studio e delle esperienze al di fuori del ristretto ambito del paese per un vero ampliamento delle possibilità dei giovani e per proiettare il loro futuro verso traguardi diversi da quelli che avevano avuto fino ad allora.

Fu accanto alla comunità nelle lotte che questa intraprese per ottenere diritti e servizi essenziali, continuando ad incoraggiare sempre il cammino iniziato verso una reale emancipazione, grazie soprattutto ai suoi input che furono fondamentali per far prendere coscienza alla comunità dei suoi bisogni, ma soprattutto per tirarla fuori da una situazione di assoggettamento mafioso che la soffocava.

Per raggiungere tali obiettivi, don Italo sfruttava ogni occasione per parlare di pace, di perdono, di giustizia e per orientare le coscienze dei fedeli agli autentici valori della fede, dai quali scaturisce il rispetto dei diritti fondamentali della persona. A tal fine si prodigò per mettere in atto tutte le iniziative utili per far maturare, soprattutto nei giovani, una umanità completa e integrata: catechesi, attività ricreative, pellegrinaggi, convegni ecc..

Uno dei metodi utilizzati fu la progressiva responsabilizzazione dei giovani, per infondergli fiducia in se stessi e negli altri, affidando loro importanti responsabilità.

Lui stesso non si limitava a celebrare la Santa Messa, ma visitava tutte le famiglie del paese, in particolare quelle in cui erano presenti persone ammalate, soprattutto se si trattava di bambini e/o ragazzi.

Grazie alla sua dedizione si creò, nel corso degli anni, un rapporto di “amore vero” tra il pastore e il suo gregge tanto che ebbe a dire: “a questa gente dalla storia così drammatica, mi sento profondamente legato. So di amarli veramente. Anche essi tutti mi amano e mi hanno sempre circondato di vero affetto”

Coinvolse la Parrocchia anche in altre attività che gli stavano a cuore. Fu, infatti nella Casa Canonica della chiesa di San Giovanni che nacque la Piccola Opera Papa Giovanni, una delle sue opere più importanti, che ospitava giovani in difficoltà e senza famiglia, i quali hanno potuto sperimentare la grande solidarietà di tutta la comunità, che li accolse e sostenne con i mezzi che aveva a disposizione e con le attività di volontariato, cosa per la quale don Italo ci tenne a ringraziare in occasione dell’ inaugurazione

Don Italo rimase parroco di San Giovanni di Sambatello per 25 anni, fino alla morte e pur avendo gravosi impegni in diocesi, come quello di Vicario Generale, non si dimostrò mai lontano dalla sua gente, fu, anzi, un Prete che seppe sempre “camminare con gli altri” e “impegnarsi per gli altri”.

Durante questi anni di dedizione e costanza del suo operato ebbe la grande gioia di raccogliere i frutti dei suoi sacrifici: San Giovanni sotto la Sua guida è cambiato, i giovani studiano, spesso fino alla laurea e molteplici sono le attività che perseguono con entusiasmo: la catechesi, il coro parrocchiale, le giornate comunitarie, che lui riteneva vitali per una vera vita comunitaria. Ma soprattutto l’allontanamento dei giovani dalla cultura ndraghetista che ha portato il paese, noto per la cronaca nera, a diventare il “paese di don Italo”, quello che lui aveva amato e da cui era stato profondamente riamato e con il quale ha voluto condividere, come dono finale, la sua dimora terrena dopo la morte.

A lui è dedicata l’Associazione Culturale che continua ad operare secondo i suoi insegnamenti ed in suo onore. In occasione del 25° anniversario della sua morte è stata restaurata, volontariamente, la “Sua” Casa Canonica, nella quale è posta una targa che riporta le parole che ha dedicato ai suoi parrocchiani in occasione dell’unzione degli infermi, che ha ricevuto durante una celebrazione eucaristica in parrocchia:

“Siete voi che dovete prendere consapevolezza di essere la Chiesa di Cristo a San Giovanni di Sambatello!…Celebrare il mese di maggio, preparare i bambini alla Prima Comunione, assistere gli ammalati… vivere in pace, aiutandovi a vicenda. Queste sono le cose essenziali della nostra vita.”

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