CONVEGNO “ DON ITALO CALABRO’: UNA VOCE PROFETICA”

Date

Consiglio Regionale Auditorium Calipari – 15 Giugno 2015

DON LUIGI CIOTTI

Devo subito dire che Don Italo è stato veramente capace di guardare sempre verso il cielo senza mai distrarsi dalle responsabilità verso la terra.

Io, incontrandolo, ho trovato un uomo, un Sacerdote innamorato di Dio, il suo forte riferimento alla Parola di Dio, al Vangelo, la sua capacità di saldare la testimonianza cristiana con la responsabilità civile.

Ma non posso dimentica il suo ultimo intervento nel Liceo Scientifico Leonardo da Vinci, poco prima della sua morte, quando parlando con i ragazzi -come molti di voi già sapranno-, lui si definì così:

“Io sono un operatore pastorale, un prete della strada impegnato in attività sociali in situazioni anche di emarginazione. Opero come parroco in una frazione del Comune di Reggio Calabria, direi una delle esperienze più belle che mi porto dentro da oltre 25 anni, a San Giovanni di Sambatello, piccolo nucleo dell’Aspromonte, un fazzoletto di terra in cui si riflette il mondo”.

Che meraviglia! Che meraviglia!.

Questa mattina, la prima cosa che abbiamo fatto, siamo stati assieme, al cimitero a pregare, a pregare sulla tomba del nostro Don Italo innamorato di Dio e innamorato delle persone, soprattutto di chi fa più fatica. E mi fa piacere, prendere anch’io, un passo del suo testamento spirituale per saldare il tema che voi mi avete proposto. Vi ringrazio, io piccolo-piccolo, di fronte a un gigante come era Don Italo.

Io l’ho conosciuto negli anni 70, a Roma, quando Luiciano Tavazza, Monsignor Giovanni Nervo, Don Giuseppe Pasini, Don Italo Calabrò e un giovane Sacerdote che ero io, ci incontrammo a parlare di Volontariato. Non si parlava ancora con questa forte intensità, in Italia, del Volontariato e si preparò il primo grande Convegno di allora, a Villa Cangiani a Napoli e poi a Sassone. Don Italo sempre presente. Io l’ho conosciuto lì. Ho conosciuto lì la sua profondità, il suo amore per Dio e per le persone.

 Lasciatemi che prenda anch’io un passo, che mi è stato proposto dal suo testamento spirituale, quando lui scrive:

“Ringrazio il Signore di avermi creato, fatto cristiano, chiamato al Sacerdozio, donato ad una Famiglia esemplare, per avermi chiamato a svolgere il ministero pastorale in questa santa Chiesa reggina, in molteplici settori di apostolato soprattutto –e io sottolineo questa parola che lui sottolinea- soprattutto nelle opere di carità e di promozione sociale”.

Ecco questo suo saldare la terra con il cielo.

Credo che ora, partendo da lui e ringraziando Dio, ringraziando Dio che mi ha permesso di incontrare un meraviglioso Sacerdote di questa Chiesa, credo di poter dire che tutto iniziò con i giovani della Scuola, dell’Istituto Industriale Pannella, dove lui era insegnante di religione e voi ne siete testimoni che eravamo negli anni 65-68.

Don Italo scommetteva sui giovani come risorsa e con loro iniziò un cammino di liberazione. Molti di voi siete testimoni, di come Don Italo ai suoi studenti regalava il Vangelo.

Incominciò con un sostegno ai giovani che nel 68 occupavano la scuola del Pannella, portava loro cibo e coperte, li sosteneva e accompagnava durante quelle manifestazioni che facevano, già in quegli anni, dicendo però queste parole:

“Il mondo cambia a partire da noi stessi”

E allora, quando nel suo ultimo intervento nel Liceo Scientifico Leonardo da Vinci nel 1990, pone ai ragazzi una domanda:

“Quali prospettive per il domani, ci sono? E, ce ne sono?”

Il suo interrogativo: che meraviglia!. Il nostro Don Italo risponde così ai ragazzi:

“Tutti possiamo modificare la realtà perché siamo creature libere, razionali e, in chi ci crede, c’è questa azione provvidenza di Dio che fa andare avanti verso lidi più sicuri. Tutti siamo chiamati a costruire il domani, la prima cosa è impegnarsi e sentirsi responsabili, quindi, una conoscenza dei problemi”.

Lui invitava i ragazzi a conoscere, conoscere per diventare delle persone più responsabili.

Lui ci ricordava che conoscenza e responsabilità non è una vocale, ma è verbo. Conoscere è responsabilità, responsabilità è conoscenza.

Dopo la scuola li sollecitava verso un impegno concreto.

Inizia così il percorso con l’accoglienza di quei ragazzi strappati al manicomio di Reggio Calabria, e voi lo sapete: viene fondata la prima Casa a San Giovanni di Sambarello, La Piccola Opera, e contemporaneamente c’è anche la nascita del Centro Comunitario Agape,come comunità di vita, di servizio, di impegno cristiano, aperto anche ai non credenti.

Siamo stati, questa mattina assieme, in quelle due stanze, dove è incominciata quell’opera raccogliendo quei ragazzi, ma con gli studenti che andavano a dare una mano e accompagnare questo percorso.

La scelta dei poveri è fondamentale: l’ha fatta sua. Il lavoro di volontariato operatori, si concentra sull’Ospedale Psichiatrico, sui minori abbandonati negli orfanatrofi e poi si lavora anche con le ragazze madri, con gli anziani soli e tanto, tanto altro.

Quando egli incontrava la fragilità, la fatica, la sofferenza delle persone: con voi……con voi: si è inventato di tutto, si è inventato di tutto…! Don Italo lavora all’apertura dei Centri di Accoglienza. Abbiamo detto la prima, La Piccola Opera che non a caso chiama Papa Giovanni e poi le opere della Caritas Diocesana, le Case-Famiglia per i minori, l’affido familiare, le cooperative di lavoro. Fonda la Casa Famiglia Centro Giovanile di Pilati, la prima del Sud e avvia una rete aperta di Famiglie Affidatarie.

Profeta, Profeta, perché dobbiamo leggere tutto questo in quel contesto storico. Profeta, Profeta innamorato di Dio, innamorato di chi fa più fatica. Don Italo diceva:

“I poveri sono i nostri padroni, ma aggiungeva, i poveri sono Cristo”.

E, allora sì: l’Ottavo Sacramento. Che Meraviglia!

Il nostro Don Italo: l’Ottavo Sacramento, i poveri sono Cristo, i nostri padroni.

Diciamocelo ancora, questa sera, che sono proprio i poveri, ieri come oggi, ad indicarci l’orizzonte, sono loro che ci indicano la strada, sono loro che custodiscono il nostro futuro, la speranza ha il loro volto e questo non possiamo e non dobbiamo, mai dimenticarlo. Loro, io credo che lo possiamo dire pensando a Don Italo che l’ha testimoniato e l’ha vissuto, sono loro che ci attendono lungo la strada della vita, ieri come oggi, sono loro, i poveri, che ci attendono lungo questa strada per umanizzare la nostra vita e per rendere vero il percorso di giustizia.

Don Italo era una presenza e un riferimento per tutte le persone accolte e per i giovani che aveva coinvolto. L’ha detto molto bene il nostro Vescovo poco fa: Don Italo aveva rinunciato alla nomina Episcopale per stare con i suoi poveri e per non lasciare soli i giovani che lo avevano seguito. Uso una parola che può sembrare un po’ strana, l’ho ritrovata negli interventi di Papa Francesco: la lotta.

Parlando proprio con i ragazzi nel 1990, sarà l’ultimo intervento pubblico in una Scuola (l’ultimo lo farà a Polistena), lui dice proprio a questi ragazzi:

“Dovete lottare, non vi dovete meravigliare se io, un prete vecchio, vi invito alla lotta. Una lotta democratica e non violenta, che è la più difficile, perché tirare i quattro colpi di pistola basta una bottiglia di rum: uno ne beve un bicchierino in più e gli viene tutto il coraggio di questo mondo”.

E va avanti, come solo lui era capace di fare, ed avete sentito in questo filmato, l’intensità e la profondità della sua parola perché sono parole di vita, di carne. Lui dice ancora ai ragazzi:

“ma per lottare con coraggio e senza violenza, bisogna formarsi, formarsi una coscienza. Bisogna essere in tanti, sostenersi, dibattere questi problemi come fate, voi oggi, nella scuola e anche fuori dalla scuola”.

Che meraviglia! Il nostro Don Italo che dice ai ragazzi:

“Prendete le vostre responsabilità e portatele avanti”.

Tutti abbiamo e avete capito che queste parole, che traduciamo oggi, perché ancora oggi dobbiamo dire con forza che abbiamo tanto bisogno di educazione e di cultura, che sono le vie maestre. Questo educare, questo educarci.

E sì, perché Don Italo ce l’ha testimoniato che è nella vita di relazione che impariamo a conoscerci, a cogliere le nostre qualità e i nostri limiti, ad esplorare le nostre contraddizioni e a venire a capo delle nostre inquietudini. Lui ci ha anche insegnato che non basta accogliere e lo diceva con quella semplicità e quel rispetto: era un maestro!

Voi mi insegnate  e l’ha scatenato dentro di voi, che accogliere non basta, bisogna riconoscere. Sì, riconoscere, perché non è il solo constatare che gli altri esistono intorno a noi. Sì, perché noi constatiamo che gli altri esistono attorno a noi, ma non basta, non basta, dobbiamo scoprire che esistono dentro di noi. Questa è stata sempre la sua grande lezione.

Il terzo passaggio è l’impegno per la giustizia sociale, per la rimozione delle cause che provocano la povertà, contro la disoccupazione, la lotta per la chiusura dei lager degli Ospedali Psichiatrici, lo scontro con la politica sorda al tema dei diritti. Diceva spesso che Reggio e la Calabria erano una terra violenta, ma anche violentata per l’abbandono dello Stato. Per questo incoraggiava i giovani ad essere presenti nella vita politica e amministrativa. Questo impegno per la giustizia sociale per lui aveva un grande riferimento e ce lo aveva ricordato più volte. L’insegnamento della Chiesa e il suo riferimento al Vaticano II in quel documento del 65 sull’Apostolato ai Laici quando, son cose che voi sapete, ma Don Italo non si stancava mai di ripetercelo, quel riferimento dove nel Vaticano II, Paolo VI lo aveva gridato con forza, diceva:

“Siano, innanzi tutto adempiuti gli obblighi di giustizia perché non avvenga che offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia. Si eliminino non soltanto gli effetti, ma anche le cause dei mali”.

Voi me lo insegnate: giustizia e carità sono indivisibili e non ci può essere carità senza giustizia. E’ stato il filo conduttore nel suo saldare la terra e il cielo, nella sua carità profonda il suo vivere il Vangelo, la parola di Dio.

La lotta all’ndrangheta. L’antimafia della corresponsabilità e non degli slogan, dalla denuncia che parte dalla credibilità della persona. Lui professava quella antimafia della concretezza, che per lui voleva dire dare un’alternativa di vita ai ragazzi che vivevano in contesti mafiosi. Credeva nel lavoro e nell’accompagnamento. Praticava il lavoro di tanti che camminano assieme e non di eroi solitari. Voleva che nelle diverse Diocesi, le Chiese collaborassero. Aveva promosso il Coordinamento Antimafia di Reggio per fare rete.

Il nostro Don Italo: veramente Profeta!.

Io mi ricordo quando nascondeva nell’appartamento dove viveva, dove io ho dormito tante volte da lui accolto, nascondeva i ragazzi e poi con il Tribunale……..ne abbiamo accolti tanti a Torino, li abbiamo nascosti.

Che bello! Storie di ieri, storie di oggi…storie di oggi. Il Tribunale che continua a chiedere che cosa fare per offrire altri spazi, altre opportunità per fare risorgere la vita di tanti ragazzi. La sua promozione umana che arriva dalle parole che possono sembrare così scontate e così semplici.

Ma voi vi ricordate quando si batteva paradossalmente per la terra ai contadini e quando si diede da fare per procurarsi l’acqua potabile? La promozione umana  era per lui la lotta a quella violenza criminale.

Voi mi siete testimoni: io ho imparato da lui, da molti di voi. Io, ogni volta che vengo in Calabria imparo, imparo. Da lui avevo respirato le fatiche e le speranze.

Siamo negli anni dei sequestri di persona, delle faide che insanguinavano la provincia di Reggio e della seconda guerra di mafia in città che lasciò sul terreno -ricordate?- più di 700 morti ammazzati. L’impegno antimafia di Don Italo nacque nella sua parrocchia. Che meraviglia!. In quella frazione di San Giovanni, il paese di Don Nico Tripodo, tra i più potenti capi bastone di quegli anni. Dei grandi altoparlanti fuori dalla Chiesa, che aveva messo apposta, facevano risuonare le sue Omelie in tutta la vallata.

Io un giorno gli ha chiesto dove aveva imparato tutto questo. Grande Maestro e grande conoscitore dell’ndrangheta. E, sapete che cosa mi ha risposto? Che aveva imparato tutto questo in confessionale. Così, nel confessionale, quando ascoltava le madri e le mogli degli ndranghetisti, le loro sofferenze, le loro fatiche, le loro speranze; da un lato denunciava a viso aperto le ingiustizie, dall’altro scontava e cercava di salvare i ragazzi, i più giovani, i figli.

1980 Ottobre: in due agguati morti cinque ragazzi, tra i diciassette e i ventidue anni.

E lui, con voi, che dice: “Bisogna aprire appartamenti per accogliere, per accogliere, per accogliere…”.

La sua, lasciatemi dire, era una pedagogia, la pedagogia dei gesti.

Quando la ‘ndrangheta sequestrò Rocco Lupini, un bambino, era Natale.  Quell’anno, nella parrocchia, non fece porre Gesù Bambino nel presepe, una culla rimasta vuota per denunciare la profanazione della vita, fatta con il sequestro di un bambino. I segni, la pedagogia dei segni, dei gesti.

Don Italo immaginava già da allora, in modo profetico, tutte le misure usate oggi per contrastare i giochi criminali mafiosi: sottrarre alla mafia i soldi. Ne avevamo parlato allora, oggi è una realtà faticosa, ma è portante. Prevedeva, già da allora, di allontanare i giovani dalle famiglie mafiose, per salvarli, per offrire loro delle opportunità. Come voi ben sapete e mi insegnate, ci furono altri rapimenti e l’Omelia, l’Omelia dopo il rapimento del piccolo Diana, fu potentissima. Decise anche l’interruzione di ogni festeggiamento per la festa parrocchiale della Madonna delle Grazie di Lazzaro.

Quando furono al momento apicale della sua esposizione ed anche il massimo pericolo per lui, non diceva nulla ai suoi collaboratori, era schivo e riservato, ma si capiva che quelle parole così dure e chiare, lo avevano esposto al rischio della sua stessa vita.

E già, ma per lui non era solo la denuncia, ma l’assunzione della responsabilità e delle proposte di soluzione. In lui c’era il coraggio della denuncia e della parola.

Non posso dimenticare perché è la storia che voi mi avete raccontato di questi anni, quando il 28 Febbraio 1985, la decisione del Comune di sospendere i fondi per i servizi sociali, che diventò operativa. Le tre Comunità Caritas, restano senza contributi. Don Italo, io mi ricordo che ne avevamo parlato, è disperato e scrive alla Giunta, una lettera ferma, chiara. Non se ne farà niente. Ma lui scrive, sollecita, chiede ciò che è giusto, non lo fa per sé, lo fa per i ragazzi.

Don Italo superò, supera le barriere ideologiche ed è importante sottolinearlo, badando piuttosto all’onestà personale di chi fa politica, alle sue capacità, alla sue sete e fame di giustizia.

Don Italo dà esempio. Il Partito Comunista Italiano, lo cerca e lui non si sottrae, non va a fare politica, ma a portare, anche lì, il Vangelo.

Nel 1990 l’ndrangheta alza il tiro. Come voi mi avete insegnato, come noi abbiamo letto e abbiamo imparato: tocca ai Preti più esposti, quelli che hanno avuto il coraggio della denuncia, quelli che si sono ribellati alla logica dell’ndrangheta, quelli che hanno puntato apertamente il dito contro mandanti ed esecutori di omicidi.

E a questa Chiesa: minacce, auto bruciate, intimidazioni. Qualcuno scrive:

“Il prete è avvisato”.

No. Lui va avanti, è vicino ai suoi Preti, si sente un po’ tradito da quelli che hanno minimizzato tutto questo, ma lui va avanti.

Il nostro grande Profeta.

Non posso dimenticare quelle tre bare ai funerali, in lontananza i colpi di lupara e, nella sua Chiesa davanti a quelle tre bare, le sue parole restano per me parole importanti che graffiano la mia coscienza, sempre. E uno si sente sempre più piccolo, piccolo. Quando lui, in quell’Omelia, disse:

“Qui dentro sicuramente ci sono, se non gli assassini, almeno i mandanti di questi delitti: quale onore avete voi, che vi considerate uomini d’onore? Io non vi chiedo di non essere più mafiosi, ma almeno consentite ai vostri figli di uscire, per sempre, da questo sentiero di morte”.

Dio è fedele alle sue promesse e non alle nostre attese.

Era uno degli elementi che lui ha sottolineato sempre, con molta forza, e sulla sua tomba c’è scritto proprio quel brano, stupendo, del Vangelo di Giovanni: “Questo è il mio comandamento: amatevi gli uni e gli altri”.

E’ importante non dimenticarci che, prima di morire, ci ha regalato quel testamento meraviglioso che è una preghiera. Prima di morire si è preoccupato , soprattutto,  delle opere che lasciava e dei suoi poveri tanto che, accanto al testamento spirituale -che grande il nostro Don Italo-, ne ha lasciato uno bis, dove ricordava alcune situazioni molto difficili di persone in gravi difficoltà e chiedeva fossero, per quanto possibile, curate. Fate attenzione fino alla fine, ai loro nomi, perché è toccato a voi continuare le opere che per lui erano servizio, segno dell’amore della Chiesa per i più piccoli, luoghi dove si continua ad amare e a respirare amicizia, come lui ha insegnato.

Sono tante le opere che sono nate, anche dopo la sua morte, che a lui si ispirano, dove altre generazioni stanno continuando il suo sogno di “Nessuno escluso, mai”.

Non posso dimenticare, perché un giorno mi aveva raccontato, quando da giovane prete divenne il segretario del Vescovo Lanza. Mi ricordo, io piccolo, piccolo e lui un grande gigante di Dio, che mi raccontò di questo Vescovo morto giovanissimo, ma perché mi raccontava questo? Per dirmi delle sue sofferenze per la morte del suo Vescovo, le calunnie, che molti dissero che era stato avvelenato e qualcuno pensava che magari anche lui avesse contribuito. Avevo trovato questa consapevolezza, l’ho visto soffrire altre volte e, devo dire, che gli sono grato perché io, piccolo, piccolo, mi aveva chiesto di condividere con lui tante fatiche e tante speranze.

A Torino c’è la Sindone in questi giorni. Io ho pensato a Don Italo e vi spiego perché ho pensato a lui. Perché il Papa ha detto una cosa molto profonda, vera, rispetto alla Sindone e ho pensato che, se Don Italo fosse qui, ci direbbe una cosa meravigliosa e mi sono chiesto che cosa lui avrebbe detto, io piccolo, piccolo.

Ma il Papa ha detto: “Quel volto cerca non i nostri occhi, ma il nostro cuore”.

Il Papa, insomma, ci ha detto….Francesco ci invita a guardarci dentro, a interrogare le nostre coscienze. E allora voi capite…il raccoglimento, la preghiera, la meditazione di fronte alla Sindone sono incompleti,se non si aprono gli occhi sul mondo, sui tanti poveri cristi di oggi, di cui quell’immagine è il simbolo. Sapere chi è davvero l’uomo del lino non è decisivo, quello che importa è guardare attraverso quel lenzuolo, senza fermarsi in superficie. E perché ho pensato a Don Italo?

Perché le Comunità, incominciando da quella prima accoglienza nella parrocchia, in quella parrocchia dove eravamo oggi, quelle lenzuola sono la Sindone.

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