CONVEGNO: “DON ITALO CALABRO’, UNA VOCE PROFETICA”

Data

Consiglio Regionale Reggio Calabria Auditorium Calipari 15 Giugno 2015

MARCO MINNITI

Innanzi tutto un grazie di cuore per avermi invitato a questo appuntamento, naturalmente consentitemi un certo imbarazzo: parlare dopo Sua Eccellenza l’Arcivescovo, dopo le straordinarie e magiche parole di Don Luigi, c’è il senso di una straordinaria insufficienza da parte mia, quindi voi mi consentirete se io mi approccio a tutto ciò, non come terzo tra cotanto senno, ma ultimo, veramente ultimo tra cotanto senno, sperando poi che ci sia quell’affetto verso gli ultimi che tanto ha caratterizzato l’esperienza religiosa e di vita di Don Italo.

Se io dovessi pensare di sintetizzare in un solo termine quella che è la mia idea di Don Italo: io sempre l’ho considerato uno straordinario protagonista del suo tempo, una persona che entrava nella storia, entrava nella cronaca, entrava sempre con un punto di vista molto deciso, molto netto e tuttavia era capace, pur avendo una posizione molto decisa e molto netta, di cercare di costruire sempre il “ponte”.

Quel ponte non era n venir meno alle proprie convinzioni, non era cioè uno sfumare i convincimenti perché, alla fine, si trova un punto di incrocio e una mediazione. Il ponte costituiva, invece, il riconoscimento dell’altro, da se. Discutere, dissentire anche in maniera molto ferma, molto netta con posizioni particolarmente severe e poi cercare di trovare il dialogo, il punto di incontro. Penso che lo abbia fatto sempre.

Io l’ho conosciuto solamente nell’ultima fase della sua vita, però leggendo i suoi scritti e quello che di lui hanno scritto, io penso che tutti quanti noi dobbiamo essere grati a Piero Cipriani per il libro che ha scritto su Don Italo, sia per i contenuti che sono straordinariamente belli, sia per il titolo: “Nessuno escluso, mai”. Quel titolo è di una potenza evocativa straordinaria. So che Cipriani non c’è, mi ha fatto piacere ricordarlo perché quando si scrive una cosa bella, anche se il tempo passa, le cose belle non perdono valore.

Don Italo, protagonista che ha attraversato la storia della sua città, città molto impegnativa e molto bella come Reggio Calabria, ma un protagonista del suo tempo che ha incrociato, non soltanto la sua città, ma i movimenti di fondo della società italiana. Come non vedere in tutto ciò il suo impegno per il volontariato, il suo impegno per l’inclusione sociale. Avevamo da poco fatto la Segreteria Provinciale dell’allora Partito Comunista, io ero ragazzo e avevo particolare voglia di fare qualche cosa di innovativo, allora il problema dell’immigrazione era sì un tema importante, ma non come ora, come in questi giorni. Noi avevamo un giovane immigrato Abdullha Alabazi, che frequentava la nostra federazione. Devo dire che la federazione era un punto di riferimento, non soltanto per gli immigrati, ma anche per tutti coloro che erano usciti dal manicomio di Modena perché da noi c’era una storia particolarmente importante di psichiatria democratica. Non c’era solamente Basaglia, c’era soprattutto Mario Scarcella che ha legato un pezzo della sua vita alla città di Reggio Calabria e un pezzo della sua vita  alla liberazione dei, così detti, matti. E lì c’era questo incrocio tra immigrati e persone che venivano dall’Ospedale Psichiatrico e , quindi, nel quadro di fare una nuova segreteria e per sdrammatizzare il senso della Segreteria Provinciale che appariva allora come un “Politburo”, proposi questo immigrato e il sostegno e la sottolineatura positiva di don Italo, fu immediata. Ma perché racconto questo episodio? Per dire come Don Italo incrociava tutti i movimenti della società: il sostegno alle famiglie bisognose, l’accoglienza sociale, la partita molto importante per liberare i malati psichiatrici di quella tensione di morte civile che erano diventati gli Ospedali Psichiatrici nel nostro Paese. In tutte queste battaglie che erano battaglie di Reggio, ma che avevano riflesso di carattere nazionale, Don Italo è stato un grande protagonista.

Un grande protagonista di questa città, ma il suo impegno andava oltre i confini di questa città. Il riconoscimento della sua storia, del suo impegno, della sua passione civile, sono andati ben oltre dei confini di questa nostra città. Ed è per questo che, nel momento in cui noi lo ricordiamo, io penso che debba andare un riconoscimento straordinario non soltanto della Comunità che lo ha visto come protagonista, ma debba andare il riconoscimento straordinario della città di Reggio Calabria. Io non ho alcun titolo a rappresentarla, però penso sia giusto così. Della città di Reggio Calabria, di un pezzo del Mezzogiorno, di questo nostro Paese che, in quegli anni attraverso Don Italo, ha trovato una bandiera, un punto di riferimento. Quando Don Italo prendeva la parola nelle sessioni, fossero religiose o civili, la sua parola veniva ascoltata. Ed era la parola di uno straordinario pastore di anime.

Mi si chiede che rapporto avesse Don Italo con la politica.

La sua storia è una storia che si incrocia permanentemente con la politica, per quanto dicevo prima. E’ un protagonista del suo tempo. Discute, interloquisce con i movimenti e, in alcuni casi, addirittura li anticipa ed è questa la forza del vero uomo di cultura, del vero rinnovatore.

Don Italo amava moltissimo la politica, naturalmente la politica nella sua espressione più alta, non come la pratica degli accordi. Non era interessato a partecipare alla vita di un partito, anche se quell’immagine straordinaria che io ricordo perché ero là, quell’immagine con dietro un simbolo che sembrava quasi in contraddizione con la sua tonaca, ma non in contraddizione per come lui ha pensato il suo servizio pastorale.

Amava la politica come scienza, come scienza positiva per il cambiamento della realtà perché l’ossessione che aveva Don Italo era di cambiare la realtà. Cambiare la realtà per fare star meglio i più deboli. Cambiare le convenzioni per liberare risorse ed energie, cambiare i ritualismi vuoti per costruire, invece, una vera e forte credibilità Ecco: questo è il senso e possiamo dire un’altra cosa di Don Italo. Sicuramente Don Italo era un innovatore, non un progressista. Se io oggi lo avessi chiamato progressista, non gli sarebbe piaciuto, ma per come l’ho pensato io, per come ho vissuto il rapporto con lui, era sicuramente un innovatore. Uno che non aveva paura dell’innovazione ed era evidente il suo sforzo contro la conservazione, contro quelli che pensavano di dover conservare, non comprendendo che stare fermi significava conservare il nulla, perché a un certo punto, non c’era nulla da conservare. Ad un certo punto, in questa città, non c’era più nulla da conservare. Ne ha parlato Don Luigi: i sequestri di persona, i sequestri dei bambini, la guerra di mafia, la faida di Cittanova dove morirono, uno dopo l’altro, un sacco di ragazzi e Don Italo si presta ad ospitare quei ragazzi per impedire che vengano massacrati.

Cosa c’era da conservare in tutto ciò? Non c’era più nulla da conservare.

Il modo migliore per tener fede agli ideali di una comunità civile, era quella di innovare, di cambiare, di spingere e buttare il cuore oltre l’ostacolo. Era un innovatore e come tale aveva vissuto i tornanti più complicati della vita di questa città.

Il suo incontro con la politica incomincia nella primissima fase del suo sacerdozio, quando Reggio viene scossa dalla rivolta di Reggio Calabria. E’ una cosa molto impegnativa: Don Italo è un giovane sacerdote e affronta il tema assieme con l’Episcopato reggino e lì c’è un punto di discussione effettiva perché Don Italo dà un giudizio che, a mio avviso, forse è il più compiuto. Ma il giudizio più compiuto, lo dico con il senno del poi, Don Italo lo diede in quei giorni, in quei momenti, in quella fase in cui non era facile leggere una realtà molto complessa. Disse sostanzialmente una cosa che può essere così riassunta: “….quella rottura, quella rottura era giusta, era giusta perché la città avvertiva di aver subito un drammatico torto, un punto di rottura rispetto a un sentimento popolare molto diffuso.. Una rottura che non derivava soltanto dal fatto che il capoluogo non era più Reggio Calabria, ma derivava dal fatto che venivano contemporaneamente al pettine più nodi e la città è apparsa come messa in un angolo, come isolata, come non più parte di un progetto nazionale”.

Mentre Don Italo diceva con convinzione, questo, diceva altrettanto: “Attenzione, stiamoci attenti a non produrre quello che gli altri vogliono che Reggio subisca, cioè, un nuovo isolamento”. La risposta di Reggio, durante i fatti di Reggio, gli appariva fondata, vera, ma comprendeva anche il rischio di un isolamento, di diventare il punto nero della democrazia italiana. E’ da lì, da questo convincimento che poi è partita la sua passione civile, democratica, che poi lo ha portato a scelte sempre più impegnative, sempre più (tra virgolette), di battaglia. Di battaglia culturale, di battaglia sui principi, di battaglia sui valori.

Se vogliamo completare la prima frase: “Don Italo amava la politica, ma amava soprattutto la democrazia. Amava parlare del protagonismo della gente”.

Seconda questione. Don Italo aveva fortissimo il senso della cittadinanza attiva. Una parola “cittadinanza attiva”, che oggi usiamo spesso e, in alcuni casi, ne abusiamo. Quando Don Italo praticava la cittadinanza attiva, questa non era nemmeno certificata, il termine non esisteva. È uno di quei termini postumi che possono essere messi come etichette a comportamenti, ma lui i comportamenti li aveva già prima.

Il suo impegno, per esempio, per quanto riguardava l’obiezione di coscienza. Quanto era innovativo e difficile schierarsi in quel fronte! Poi abbiamo superato tutto, oggi non c’è nemmeno più la leva obbligatoria, c’è un esercito professionale. Allora dire no alla leva, battersi perché ci fosse un servizio civile, era una cosa molto impegnativa. C’era, quasi, una rottura culturale. Don Italo amava essere dalla parte di coloro che rompevano le regole dal punto di vista culturale.

Qui c’è un punto cruciale dell’essere, del pensiero di Don Italo che si è rapportato alla storia di questa città, ai momenti più drammatici della sua vita, con l’etica del comportamento individuale. So bene quanto questa parola sia impegnativa. L’etica del comportamento individuale, cioè non chiedere mai, a nessun altro, quello che prima non fai tu. Dimostrare agli altri, con te stesso, quello che si deve fare.  Quanto questo è importante! Importante nella storia complicata di una città straordinariamente bella, ma anche complessa e difficile come Reggio Calabria, come la mia città.

Pensando all’etica del comportamento individuale, mi è venuto in mente un bellissimo libro di uno scrittore francese, tra la prima e la seconda guerra mondiale. Questo scrittore, che molti consideravano uno scrittore maledetto che maledetto non era, solamente perché amava dire le cose, con una certa rudezza che all’epoca non era consentita, si chiamava Paul Nizar. Egli, studiando l’avvento delle dittature tra la prima e la seconda guerra mondiale, scrisse il libro dal titolo: “Il tradimento dei chierici”. Chierici che non avevano nulla da evocare con i religiosi, in quanto i chierici erano gli intellettuali. Lui riteneva che nel’affermazione del totalitarismo tra le due guerre mondiali, c’era stato un tradimento degli intellettuali che non avevano prestato fede alla loro etica dei comportamenti individuali. Io non so se Don Italo avesse mai letto Paul Nizar e, tuttavia, nel suo essere pastore, nel suo essere prete, c’era molto di tutto ciò. C’era essere insieme includenti, ma non consentire di passar sopra. C’è un passaggio fondamentale. Dopo le guerre di mafia, Don Italo lavora per una conciliazione. Sa perfettamente che una società non può vivere con 700 morti ammazzati. Bisogna conciliare, ma sa anche perfettamente e lo dice e lo urla, che quella conciliazione non la possono fare i capi dell’ndrangheta.

 E lì c’è la scorciatoia, che ogni tanto ritorna e cioè l’idea che a un certo punto, pur di chiudere una vicenda, si scende a patti. C’è la conciliazione, c’è bisogno della conciliazione, ma la conciliazione non può essere una pax mafiosa. Don Italo, allora, lo urla. Quanto queste cose sono di straordinaria attualità anche oggi!

Infine due ultime considerazioni e una piccola confessione personale.

Siamo arrivati così all’89 quando Don Italo rimane molto colpito per l’attacco da lui subito durante quella campagna elettorale amministrativa. Viene considerato come l’artefice di movimenti politici. Lui si era impegnato politicamente, pensava che fosse arrivato il momento, eravamo nell’89 e da poco era crollato il muro di Berlino, si pensava che anche a Reggio si potesse aprire una fase nuova di storia della città. C’erano state quelle tensioni, tuttavia Don Italo aveva sempre in testa che quel progetto di innovazione, dovesse passare attraverso un meccanismo di massimo coinvolgimento.

Non voglio ritornare a quei giorni, a quei momenti, tuttavia, permettetemi di dire che la città di Reggio Calabria non è stata fortunata con i suoi Figli più di valore. In un passaggio cruciale Don Italo ci preannuncia la sua malattia che dopo brevissimo tempo lo porterà via. In quegli anni era incominciato a maturare un confronto con un altro professore dell’Istituto Pannella, anche lui si chiamava Italo, era Italo Falcomatà, ed erano colleghi. Anche Italo Falcomatà se ne va via rapidamente per una malattia velocissima: Reggio non è fortunata da questo punto di vista.

Mi è capitato di pensare che noi siamo prigionieri di una gigantesca convenzione che ha come fondamento nella realtà: la storia non si fa con i se. Quello che è successo è, esso stesso, il motore della storia e, tuttavia, un grande studioso britannico, storico di vaglia, decise di scrivere un libro intitolato: “La storia fatta con i se”. Incominciò a mettere dietro ad ogni cosa, un se e incominciò a trarre le conseguenze di quel se.

Sarebbe stato un futuro migliore per la città di Reggio Calabria se, Don Italo e l’altro Italo, avessero potuto lavorare, per lungo tempo, assieme? Non lo sappiamo. Ma quel se è un grande se, grande come una casa perché nell’89 ci fu la spinta di Don Italo perché si facesse il massimo per l’unità, quell’unità che qualche anno dopo si fa, la fa Italo Falcomatà e Don Italo non può vederla. Quella Giunta rappresenta veramente un punto di innovazione. Sarei tentato di dire: un punto di discontinuità, sapendo che la discontinuità non è un valore negativo. A un certo punto bisogna voltare pagina e la forza del voltare pagina, del segnare un punto di chiusura, non è un elemento di debolezza, è un elemento di forza. E’ un punto dal quale ripartire.

Ora un piccolo ricordo personale. Uno incontra tanta gente, però ci sono degli incontri che ti cambiano la vita. L’incontro con Don Italo è stato un incontro che mi ha cambiato la vita.

Io ero da poco tornato a Reggio Calabria, dopo esser stato a Roma, ed ero Segretario Provinciale: difficile, molto difficile. Avere possibilità di scambiare valutazioni, di essere ascoltato, di ascoltare cose interessantissime nel rapporto con Don Italo, per me è stata una straordinaria scuola di vita. Sono quelle cose che ti segnano, che ti segnano per sempre ed è per questo che dico qui una cosa che non ho mai detto in 25 anni. Quando Don Italo viene a sapere di avere una malattia molto grave, chiede ai medici: “Sono anni, mesi, settimane?”. E la risposta, purtroppo fu: “settimane”. Don Italo torna a Reggio e mi manda un biglietto, un biglietto che io porto gelosamente sempre con me nei momenti più delicati e impegnativi della mia vita. In quel biglietto c’è, insieme, il consuntivo di una vita. Don Italo sa che sta per finire, mi racconta la prognosi senza speranza e, tuttavia, insieme a quel consuntivo, ci sono tanti impegni per il domani. Tanti impegni che lui avrebbe fatto, in qualche modo e pensa che avremmo potuto fare insieme. Tanti impegni, come se si dovesse ripartire il giorno dopo. Poi, purtroppo, il giorno dopo non c’è stato: la prognosi che qualche volta non è azzeccata, in questo caso era azzeccata.

Un solido piede nel presente e lo sguardo rivolto verso il futuro. Un solido piede nel presente e lo sguardo rivolto al futuro!

Con una parola, voi, lo avete definito: Profeta.

Sì è la parola giusta: perché Don Italo era ed è un Profeta.

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