La faida vista da vicino

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So che significa faida per averne vissute alcune indirettamente, ma da molto vicino.

So che cosa vuole dire questo miscuglio di interessi economici, ma anche di odio smisurato tra famiglie per il predomino sul territorio, per l’affermazione della potenza della propria famiglia.

Di vincoli di sangue che non permettono o rendono estremamente difficile a chi ne fa parte, per parentela o per frequentazione ,di tirarsi fuori, di dissociarsi. Se sei maschio quando scoppia la faida devi scegliere tra   da un destino di carnefice o di vittima

Non c’è una via di mezzo. Quando è coinvolta la tua famiglia, i tuoi cari non ti è permesso di defilarti ma devi costi quel che costi devi fare la tua parte in nome di una appartenenza che non ammette defezioni, né equidistanze. Non è detto che devi fare il Killer, ci sono tante altre funzioni e ruoli che puoi svolgere ma l’importante è che fai la tua parte.

Se non lo fai sei un infame, un rinnegato, un traditore della tua famiglia che non merita più udienza e rispetto. Com’è successo tanti anni fa ad un giovane della Piana di Gioia Tauro, il cui padre era stato ucciso in una guerra tra clan. La madre ed i parenti lo invitavano pressantemente a prendere il posto di comando lasciato dal genitore: “Se non lo fai non sei un uomo e con noi hai chiuso” era questo il messaggio-ultimatum che lo accompagnava e tormentava.

Per resistere ai condizionamenti, per evitare di rispondere alla chiamata alle armi che gli veniva lanciata è stato costretto a lasciare la Calabria. Solo grazie all’aiuto di volontari è riuscito a rifarsi una vita nuova nel Nord Italia ma pagando il prezzo della rinuncia alla sua famiglia e tagliando i rapporti con la sua comunità d’origine per sempre.

Rispetto alle normali guerre di mafia la faida aggiunge una carica di ferocia criminale in più.

Per esempio non c’è nessun rispetto dei codici d’onore della ndrangheta- in verità sempre meno osservati – che prevedono di non toccare le donne ed i bambini, di non colpire gli innocenti selezionando bene gli obiettivi.

Nella faida di San Luca, ma anche in altre precedenti si è invece colpito nel mucchio, non per un errore ma in modo premeditato e dimostrativo. La stessa scelta di Duisburg come teatro dell’attentato – con tutte le implicazioni che porterà agli interessi economici della ndrangheta in quel Paese- è la conferma che solo un odio accecato come è quello della faida può fare abbandonare ogni atteggiamento di prudenza e di calcolo sulle conseguenze dei gesti..

Queste morti innocenti alimentano ulteriormente una cultura di vendetta che viene trasmessa di padre in figlio anche per decenni e questo spiega il riesplodere di faide dopo anni e dove il ruolo delle donne è fondamentale in quanto custodi della tradizione e dell’onore della famiglia.

Per questo le faide si trascinano per anni, e finiscono normalmente per decimazione dei suoi combattenti o semplicemente per sfinimento, ma basta un evento nuovo per farle ripartire.

Per assurdo l’ arresto e la carcerazione   viene vissuta da alcuni dei soggetti coinvolti con un senso di liberazione rispetto ad una clandestinità che non garantisce in assoluto quella protezione che le mura del carcere possono invece dare. Una tutela assicurata dallo Stato, lo stesso al quale spontaneamente nessuno si sognerebbero mai di chiederla.

Al di là di quella che sarà l’evoluzione della faida di San Luca, che nessuno può prevedere, i fatti di Disburg nella loro violenza e spettacolarità- come è stato sottolineato da tutti gli osservatori – possono servire a riportare finalmente l’attenzione della comunità internazionale alla pericolosità del fenomeno ndrangheta.

L’atto terroristico- mafioso ( che per certi versi ricorda la strage di via Fani) può rappresentare un pugno nello stomaco per tutta la comunità, non solo nazionale, affinché prenda coscienza che delle ramificazioni e dell’inquinamento che questa organizzazione criminale è riuscita a tessere grazie anche alle sottovalutazioni di cui ha goduto.

E’ molto vero ed attuale quando si dice “la guerra alla ndrangheta si combatte in Calabria ma si vince a Roma” Oggi dopo i fatti della Germania dovemmo aggiungere che si vince a Bruxelles, all’Onu, come da anni viene ricordato da magistrati di grande esperienza come Nicola Gratteri che di questi collegamenti e ramificazioni hanno descritto luoghi, percorsi, fatturati, modelli organizzativi,complicità.

A noi calabresi, ognuno per la sua quota di responsabilità, spetta il compito più difficile di contrasto ad un fenomeno con cui ci dobbiamo interfacciare ogni giorno. Una realtà che richiede non declamazioni ed impegni parolai ma scelte coerenti e coraggiose in grado di intaccare realmente il fenomeno mafioso. La questione decisiva è quella – come ha affermato il vice-Ministro Marco Minniti- della sovranità dello Stato nei territori occupati alle mafie.

E’ inutile nasconderselo in queste comunità gli Enti Locali amministrano ma quelli che governano realmente sono i poteri criminali che condizionano l’economia, l’assetto e lo sviluppo del territorio.

Solo rovesciando questo rapporto le cose possono realmente cambiare e legalità e democrazia saranno parole realmente pronunciabili e visibili.

Recupero della sovranità dello Stato significa repressione e contrasto per l’affermazione della legalità, in particolare misure come la confisca dei patrimoni e il carcere duro per coloro che hanno ruoli di vertice nella geografia mafiosa.

Ma a queste misure vanno accompagnate politiche si sviluppo a investimenti sul lavoro, sull’educazione e sulle politiche sociali. Se vuole vincere la battaglia della sovranità lo Stato non puo’ presentarsi agli occhi di queste comunità solo con il volto delle divise dei carabinieri che ti entrano in casa per una perquisizione o per un arresto o con il volto della Magistratura che ti processa e condanna giustamente perché hai fatto scelte di illegalità.. Lo Stato per essere credibile ed autorevole deve – assieme a questa funzione-avere anche il volto di una scuola e di una sanità che funziona, di un Comune in grado di erogare servizi e di dare quelle risposte che altrimenti altri poteri si preoccuperanno di fornire. Il volto di uno Stato amico che offra possibilità di inserimento legale nel mondo del lavoro. Dalla mia esperienza di operatore sociale ho potuto verificare che tanti giovani sono riusciti a sottrarsi a questo destino criminale grazie ad una loro precisa volontà di affrancamento dalla dipendenza mafiosa ma anche perché gli sono state offerte concrete opportunità di lavoro e relazioni sociali alternative a quanto la criminali organizzata gli poteva offrire..    

Per questo è importante assicurare mezzi e risorse a quegli amministratori come il Sindaco di San Luca, l’avv. Francesco Mammoliti, che vive in pieno il dramma di una comunità che vive una situazione che non è esagerato paragonare ad altre zone di guerra che vi sono nel mondo. Un Sindaco che con grande impegno stava cercando di promuovere la rinascita dei questo centro.

Un ruolo come questo non può essere vissuto in solitudine. Quando subito dopo i fatti di Duisburg gli ho telefonato mi ha colpito oltre che la sua angoscia per i gravi fatti accaduti l’ amarezza per non avere avuto altre chiamate da politici che esprimessero solidarietà e vicinanza.

L’auspicio è che spenti i riflettori, chiusa al più presto si spera la spirale di sangue e vendette della faida, da San Luca possa ripartire un progetto di ricostruzione civile e spirituale dove tutti insieme le forze sane del territorio, assieme alle massime autorità di governo nazionale e regionale possano contribuire ognuno per la propria parte ad avviare un percorso che certamente sarà lungo e difficile ma che va assolutamente iniziato almeno per dare una speranza alle nuove generazioni.

In questo percorso un ruolo importante sul piano educativo e culturale – assieme alla Chiesa di Giancarlo Bregantini che assicura nel territorio una presenza una profetica- lo potranno svolgere quelle vittime della faida che si sono espresse per il perdono e per la riconciliazione.

Ma riconciliazione per essere autentica, esige e presuppone la rottura con le appartenenze di clan, l’abbandono della violenza e della spirale di sangue. Scelte personali difficilissime che richiedono un profonda conversione del cuore.

Solo così potranno diventare testimoni ed operatori di pace credibili, potranno dare un senso al sacrificio dei loro cari e contribuire ad impedire che altri giovani diventino carne da macello in guerre che nessuno vincerà.

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