Nina, una nuova dignità grazie agli avvocati degli ultimi

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Nina è con il suo avvocato nell’anticamera di uno studio medico. «Stp»: straniera temporaneamente presente si legge su un certificato. Prima di arrivare, in macchina, l’avvocato le chiede di apprendere qualche parola della sua lingua, così la prossima volta avrebbe potuto salutarla con più familiarità.

Dobre utra, così si pronuncia, buongiorno. Con sé la donna portava una ventiquattrore di plastica con i suoi ultimi documenti, stracci di carta non validi, e le sue foto da studentessa, da giovane fiera, una fierezza che ancora oggi persiste, ammaccata forse, ma che la mansuetudine di una povertà indotta non ha scalfito. Sullo sfondo della foto mostrata si vedono altri studenti dell’Institut, nella Piazza del Palazzo di San Pietroburgo. Alle loro spalle l’Ermitage, la Colonna di Alessandro.

A raccontare quelle foto irrompono un fiume di parole su Lenin. «Lenin ha fatto la rivoluzione!», ha detto orgogliosa Nina. Nella fabbrica di resina dove lavorava la rivoluzione di Lenin però non aveva cambiato le cose. Ogni mattino le davano mezzo litro di latte da bere contro i bocconi d’aria avvelenata. Ma si sa, la storia si ripete a certe latitudini, un flusso pressoché immobile. Un passato tiranno del presente. Così nel petrolchimico dopo anni c’è finita anche la figlia. Stesso indirizzo della fabbrica e 7 nomi diversi della stessa, a seconda dell’esigenza dei mastera, i padroni. Tanti i prepensionamenti, tra cui il suo, insufficiente a garantirle il quotidiano. Così Nina ha bisogno di continuare a lavorare e calcola in tutto 147mila e 399 rubli, tanto è costato il pacchetto all inclusive di documenti e promesse di lavoro per l’Italia. Il sogno italiano offerto dai connazionali della madre patria appena atterrata in Italia è svanito, con il sogno anche i connazionali. L’avventura di Nina si ferma così su una spiaggia, da senzatetto, accanto a un uomo più giovane. La necessità, l’impossibilità di provvedere a sé e un diluvio di botte, con il tempo li separa, ma nelle sue parole nessun tradimento sul compache gno. Ha rimosso tutto ciò che non andava, lasciando solo il bello per sé e alle «carte» la scomodità di rammentarlo. Questo è il racconto di una donna anziana, solo apparentemente aggressiva, che attraverso l’incontro con il gruppo di avvocati della «Marianella Garcia », che tutela le persone disagiate, ha avuto l’occasione di riscattarsi. Di avere una seconda possibilità. Le è stato concesso il permesso di soggiorno e gradualmente il passaporto e il versamento della pensione le spettava nel suo Paese. Questo è il racconto di un «diritto buono» e di un’avvocatura a servizio delle persone che sta dando delle variabili differenti al finale della storia di Nina.

Il Consiglio nazionale forense attraverso la sentenza del 24 novembre 2014, ci rammenta infatti che l’avvocato svolge il proprio ruolo a «garanzia dell’esercizio della professione legale non solo nell’interesse delle parti assistite, ma anche dei terzi e della collettività, a garanzia del corretto esercizio della giurisdizione e dei principi dello Stato di diritto». La funzione pubblica dell’avvocatura si realizza, dunque, secondo una dimensione individuale e collettiva al tempo stesso, capace di incidere significativamente a livello sociale. Per questo motivo la difesa dei diritti fondamentali, alla base dell’azione dell’avvocatura, diventa il mandato nobile sottoscritto dal team della «Marianella Garcia». Nel caso degli avvocati che ne fanno parte, l’esercizio della difesa è assicurata a una fetta di destinatari, le persone meno abbienti, e il plusvalore è rappresentato non solo dall’ausilio altamente professionale e dalla garanzia di un approccio multidisciplinare – i diversi avvocati che compongono il team hanno diverse specializzazioni –, ma dalla rete a supporto del soggetto che necessita di assistenza e che a seconda del tipo di intervento può attivarsi. È prevista, inoltre, un’attività ulteriore svolta dagli avvocati, fatta dall’analisi, la ricerca, la formazione e la sensibilizzazione dei diritti.

Il Centro comunitario Agape, che quest’anno compie 50 anni, è la realtà di supporto all’interno della quale operano questi legali. Una realtà sociale che da anni è a stretto contatto con professionisti ed enti, cercando di essere cerniera tra le necessità di chi è in difficoltà e le istituzioni.

 

fonte: http://www.avveniredicalabria.it/

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