Rivolgiamo un saluto particolare all’Onorevole Ingrao che è qui con noi stasera. Io ho avuto il piacere di ascoltarlo quando venne, come Presidente della Camera, per una visita ufficiale alla nostra città. Io rappresentavo, in quell’occasione, il nostro Arcivescovo ed ho avuto modo di confermare quella stima che, pur da diversa sponda ideologica, ho sempre nutrito per lui -e con me molti in Italia-, oltre che per la sua preparazione culturale, anche per la sua coerenza politica e di vita personale nell’impegno di lotta, di proporzione per la giustizia di liberazione di tutti coloro che sono ai margini della vita sociale. La sua presenza, qui stasera, dà anche a chi non è del Partito Comunista, ma sono persone oneste, la gioia di salutare un lottatore onesto e coraggioso.
Una parte del mio intervento è stata simpaticamente assorbita dal segretario Polimeni e lo ringrazio per la citazione di fatto, passando a ringraziare tutti gli altri intervenuti che hanno voluto ricordare, con parole di apprezzamento, la presenza e l’impegno della Chiesa di Reggio.
A me sembra che questo apprezzamento così condiviso anche in altri ambienti, significhi per la Chiesa di Reggio, prendere maggior consapevolezza della responsabilità che su di essa incombe al fine di portare avanti, con coerenza, l’opera già avviata restando accanto alle classi popolari meno favorite: agli ultimi. Era questa l’essenza di un documento che i Vescovi d’Italia lanciarono anni or sono e che, se è valido per tutta la Nazione, lo è particolarmente per Reggio per i motivi che cercherò di accennare, in seguito.
Il mio intervento, guardando al tema della serata, non lo colloco tra il 1970-89-2000, in quanto il 70 è stato un fenomeno molto complesso. Polimeni ha molto intelligentemente accennato alla difficoltà della sua lettura, il caro Avvocato Mussolino ha accennato alla matrice popolare.
Altre situazioni si sono in seguito create, con diverse interpretazioni, tanto che siamo ancora nella cronaca dopo 19 anni. Sono fatti che certamente devono essere ancora studiati sotto il profilo storico, alla luce di documentazioni di ulteriori elementi che possono consentirci di guardarli nella loro autenticità.
L’anno che abbiamo iniziato, il 1989, mi costringe a sorvolare in quanto siamo nell’anno delle elezioni amministrative e si sa, che ogni parola detta in questo periodo, è soggetta ad interpretazioni che non sempre sono oggettive per forza di cose. Quando si fanno le elezioni, ogni partito deve difendere se stesso, quindi io non voglio riferirmi a nessuno in particolare e in questa fase, che impegnerà tutti i reggini, io mi proietto verso il 2000 -non per fuga-, ma perché voglio riferirmi a San Paolo. Nella sua lettera ai Filippesi, nel secondo capitolo al versetto 13, San Paolo dice: “Lascio dietro alle mie spalle il passato e mi slancio in avanti”.
Pur sapendo come il passato possa condizionare il domani, io non debbo lasciarmi troppo imbrigliare nel passato e debbo trovare in me e negli amici con cui faccio la strada, la forza di andare avanti con speranza e credo che a Reggio questa speranza non sia utopistica nel senso negativo del termine. L’utopia, nel senso valido, la condivido, quasi fosse un’alienazione da responsabilità, una forma evanescente di sottrarsi ad un giudizio. Come negli anni 70, anche prima dell’avvento del Regno d’Italia, gli studiosi di sinistra hanno sempre parlato di colonialismo da parte dell’Italia del Centro-Nord nei confronti del Sud come testimoniano tante pubblicazioni.
Credo che anche noi, oggi, non dobbiamo rinchiuderci nel presente in modo esaustivo, ma proiettarci verso il domani raccogliendo quelle che sono le potenzialità positive che sono presenti nella nostra città.
Per la missione che svolgo, ho la possibilità di trovarmi nell’una e nell’altra parte della nostra Diocesi che comprende, oltre Reggio, due zone abbastanza vaste del Tirreno e dello Ionio e ovunque riscontro che ci sono gruppi in fermento nella vita sociale. Non sono gruppi solamente di ispirazione cattolica, ma ci sono anche gruppi di altra ispirazione ideologica, tutti composti da giovani che aspettano qualcuno che dia loro voce e questo è motivo di grande responsabilità.
Il primo Gennaio sono stato ad Archi per incoraggiare un gruppo di giovani di cui ho avuto modo di parlarne durante un Convegno nel mese di dicembre scorso. Questi giovani avevano organizzato una marcia della Pace nei tre rioni del quartiere, al termine della quale, proiettarono un documentario sulla pace con riferimento a M. Luter King, e volendo anche proiettare un documento di attualità, registrarono la cerimonia che al mattino la televisione aveva trasmesso per la giornata della Pace con le parole del Papa e la trasmisero in sala. Io vado spesso in questa zona perché, prima di tutto, si tasta il polso della realtà e il dialogo diventa molto più valido anche se, qualche volta, può essere un poco più carico di tensioni.
Il tema della Giornata del Papa per l’89, era la Pace. In particolare il Papa diceva che per garantire la Pace è necessario anche garantire e rispettare le minoranze. In quell’incontro, prendendo la parola, io dissi: “Sì quello che dice il Papa è vero, ma non è valido ad Archi”, lasciando tutti sorpresi. Lo dissi perché ad Archi una minoranza di mafiosi, di facinorosi, mette in disagio il vostro quartiere. A Reggio Calabria è una minoranza di gente deviata, dedita a traffici illeciti, a perseguire vendette, a organizzare sequestri, che fa cadere su tutta la città una brutta immagine. Voi, ieri sera, avete discusso di questo davanti ad un pubblico numeroso come numeroso è il pubblico che in questo momento ascolta, attento. Contro queste nostre minoranze bisogna reagire. È chiaro che quanto detto dal Papa non era rivolto a noi, ma io ho dovuto capovolgere il messaggio del Papa, per risvegliare gli animi, per dare un pugno nello stomaco ai presenti. Dopo un primo momento di disorientamento, mentre il mio discorso diventava più concreto facendo appello alle Mamme che non allevassero figli per farli morire uccisi nelle faide mafiose, mentre ricordavo loro che quando incontrano un amico e vanno con lui al bar, la conversazione si deve limitare al commento sul tempo perché c’è il timore di andare oltre; a quel punto scoppiò l’applauso: quei giovani avevano capito che quella era la loro situazione. In altra occasione, venni chiamato in un centro della nostra provincia per il funerale di un uomo ucciso non so se per vendetta, se compromesso o meno, ma per mafia certo, e aveva il diritto di essere onorato almeno come vittima di vendetta che è sempre iniqua.
C’era la sua Famiglia a piangere ed io, aprendo la celebrazione liturgica a cui il Parroco mi aveva chiamato, posi questo interrogativo non molto liturgico: “ho seguito il corteo che ha accompagnato in Chiesa la salma di quest’uomo, ma non ho capito se voi siete favorevoli o contrari a questo omicidio”. La gente rimase attonita domandandosi che cosa c’entrava il mio dire con la predica. Qualcuno dei parenti, con quel fare sdegnato, si era sollevato dal suo posto e io ho capito che stava per dirmi:” Reverendo rientriamo nella liturgia”. L’ho prevenuto dicendogli: “Guardi che forse lei è designato per il prossimo funerale”. Bastò questo per farlo sedere nuovamente. Io parlo perché vi voglio bene, sia chiaro, dobbiamo guardare al domani puntando sulle forze sane che ci sono e non dobbiamo lasciarci condizionare da questa minoranza di violenti della nostra città e che, unita ad altre persone legate alla Pubblica Amministrazione o ad altri settori, aggravano il degrado. Noi dobbiamo reagire puntando sulla cultura e perdonatemi se lo ripeto sempre, ma non conosco altri punti su cui far leva. È indispensabile cogliere nella sua forza, la cultura della vita in tutte le sue espressioni e che va tutelata sin dal seno materno fino alla vita dell’anziano non autosufficiente. La cultura della vita passa attraverso tutto l’arco dell’esistenza che è impegno di assicurare ad ogni uomo, non solamente ad alcuni, ma a tutti, una vita degna di Uomo. Ricordare quelli che sono i valori della dignità umana, della libertà, della giustizia, della indispensabile espressione religiosa, in un pluralismo sano, autenticamente democratico. Questi valori devono poi essere tradotti in onestà della Pubblica Amministrazione.
Come ha detto il nostro Vescovo nell’intervista citata dall’amico Polimeni: “Questi valori devono essere tradotti in strutture che consentano all’uomo questo tipo di vita.” Questo impegno culturale è di tutti e innanzitutto della scuola, dall’Università alla scuola materna. Queste cose si devono insegnare ai bambini fin dalla prima infanzia, a 3-5 anni, altrimenti quando arrivano all’università è già tardi se, dentro di loro, si è stratificata un’altra cultura, che è quella della violenza, del prestigio, del perseguire l’avere anziché l’essere.
Stasera, entrando qui, mi ha commosso l’incontro con un alunno dell’industriale che mi ha detto: “Vi ricordate quando a scuola abbiamo fatto il questionario su avere ed essere, qual è la scelta? Allora io scrissi “essere” perché volevo accontentarvi, era quello che voi aspettavate da me. Oggi invece sono convinto che quello che scrissi è il giusto e che è la corretta risposta alle vostre lezioni.”
L’impegno culturale non v diviso dallo sforzo di valorizzare maggiormente la scuola in tutte le sue espressioni, dalle strutture scolastiche all’impegno dei docenti e al tempo pieno che significa aggancio tra scuola e vita. Impegno del lavoro: la disoccupazione giovanile non solo ingrossa le fila della mafia, ma è quella che fa fare in occasione delle elezioni, scusate il riferimento a queste dell’89, determinate scelte.
L’altra sera un padre di famiglia mi diceva: “Reverendo, io ho due figli, chi me li sistemerà questi due figli?”. Potrebbe essere un discorso qualunquistico oppure un discorso egoistico, certamente un discorso che va respinto. Quando poi si scende nel concreto bisogna tenere presente che il motivo più valido della preoccupazione di quel padre, è che il lavoro rende l’uomo più maturo.
Non per nulla, nella prima pagina della Bibbia quando si parla della creazione dell’uomo, si dice: “Tu dominerai e trasformerai la terra”. In questo si realizza il piano primo di Dio. Quando noi impediamo all’uomo, al giovane di lavorare, noi andiamo contro Dio e contro l’uomo.
Non so quanti di voi, in questi giorni, si siano trovati a passare davanti all’Ufficio di Collocamento mentre si raccoglievano le adesioni per i progetti della finanziaria. Io sono scappato pensando a cosa succederà con le manovre della mafia e mi sono sentito il cuore in una morsa di mortificazione nel vedere le file di giovani coinvolti in risse che scoppiano perché tutti sperano di essere chiamati in uno dei progetti. Sono progetti che garantiscono, nella migliore delle ipotesi, 400mila lire al mese per 4 ore di lavoro al giorno per 5 giorni la settimana e per un arco di tempo limitato. Pur di guadagnare qualche cosa i giovani fanno la fila, litigano con gli altri, cercano raccomandazioni. Ad un giovane ho chiesto: “Tu, quale progetto hai scelto?”. “Io, mi sono iscritto a tutti”. Poveracci, immaginate questi dell’Ufficio del Lavoro a fare la cernita, quando questi progetti inizieranno?
Questa è la drammatica realtà di Reggio. Non possiamo sottrarci ad un impegno, ad un’azione culturale di largo respiro, coinvolgendo tutti, secondo un’azione che fa leva sulla scuola come elemento di formazione. In questa azione culturale ho compreso anche l’impegno della Chiesa in quanto, per noi credenti, non è mai sufficiente richiamare l’impegno per il lavoro.
Io termino, chiedendo questo impegno a tutti gli uomini politici che sono qui presenti e a qualunque partito aderiscano in quanto sono della convinzione che gli onesti sono in tutti i Partiti e in tutte le Associazioni. Non mi rivolgo solamente a loro, ma anche agli assenti, agli uomini responsabili della vita amministrativa a livello Regionale e locale. Ancora una volta, come già feci, voglio confidare nell’azione dell’Onorevole Ingrao, perché si guardi alla Calabria, si guardi a Reggio, in una prospettiva che non sia assistenzialistica. Non è un dono che fa lo Stato se crea posti di lavoro sicuri, perché questi giovani saranno nel 2000 uomini che hanno alle spalle un lavoro onesto e tranquillo e, io ne sono convinto, gran parte di loro respingerà le tentazioni che la mafia si ostinerà ad offrire. Sanno benissimo, questi uomini, che chi entra nella mafia e pensa di farla franca, o muore ammazzato dai nemici o muore ammazzato dagli amici, sanno che difficilmente avranno vita lunga e non credo che in molti abbiano la volontà suicida e neanche subiscano tutti il fascino del potere, il senso aberrante dell’onore e i facili guadagni. Se noi diamo lavoro significa che la gente cammina con la spina dorsale diritta e che quando guarda in faccia un prete, un comunista, un socialista o un democristiano che sia, lo guarda e lo saluta da uomo a uomo, non da persona che spera attraverso quell’amicizia, di poter sistemare il figlio, la figlia o il nipote. Noi ci portiamo dentro, il discorso sarebbe lungo, questa componente di servilismo da cui dobbiamo liberarci per essere veramente e con dignità, calabresi e uomini di vero onore. Il primo onore è quello di sapersi imporre perché i diritti vengano riconosciuti, di sapere democraticamente lottare e di sapersi ritrovare con gli altri Ecco questo ritrovarsi con gli altri, questo integrarsi, questo aggregarsi è un elemento culturale che andrebbe sviluppato.