Il servizio della carità educa alla pace

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Per accettare l’invito così cortesemente rivoltomi di parlare nel corso di questa Settimana Teologica ho dovuto superare forti resistenze interiori. Non sono un teologo né ho alcun titolo di particolare preparazione culturale per potermi presentare dinnanzi ad un uditorio così qualificato sono soltanto un operatore pastorale di periferia.  Ho dovuto cedere, però, alle vive insistenze di S. E Mons. Amoroso presente stasera, a voi, cari amici della sorella città di Messina, confidando nella vostra benevolenza: il primo atto di squisita carità lo farete ascoltandomi e, poi, perdonandomi.

Carità e pace: quale il rapporto intercorrente?

17 ottobre 1979: nella fastosa cornice del palazzo reale di Oslo viene conferito il premio Nobel per la Pace ad un’umile suora cattolica, Madre Teresa di Calcutta, un nome, una persona profondamente cari al mondo dei credenti e al mondo laico.

La motivazione del premio: il riconoscimento dell’opera altamente meritoria per la pace svolta da Teresa di Calcutta all’interno delle nazioni e a livello internazionale mediante il servizio di amore prestato ai più poveri tra i poveri senza distinzione di razza, di nazionalità, di religione.

Mi pare sia così nella persona e nell’opera di Madre Teresa — emblematicamente significato l’alto, insostituibile apporto che viene recato all’opera di pace, non attraverso i canali diplomatici né nelle più prestigiose sedi culturali, ma nelle bidonvilles delle grandi metropoli, tra i sink perseguitati, con le vittime del flagello della fame in Etiopia, della sete nel Sahel, nella lebbra in Africa o in Asia, con i barboni di Roma, con i diseredati di Parigi, di Londra, di New York, della Polonia come della Iugoslavia.

Messaggera di pace, cui si schiudono perfino le porte difficili di Pechino, perché messaggera di amore.

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Alla luce del luminoso messaggio, che promana dalla figura di Madre Teresa, vorrei stasera impostare con voi questa amichevole conversazione. Il servizio di carità ai fratelli più emarginati ci educa alla pace, aiuta a costruire la pace all’interno del nostro paese, ci rende corresponsabili della costruzione della pace a livello internazionale.

Forse sarà bene che ci soffermiamo un momento sul parallelismo che intercorre tra la carità e la pace.

È innanzitutto una premessa semantica sulla carità. La parola ha avuto, in passato, i suoi titoli di nobiltà, pochi storici lo contesteranno, salvo qualche marxista particolarmente sospettoso.

Ma non è forse oggi una parola logorata fino alla corda, come un vestito vecchio indossato troppo a lungo? O non è totalmente fuori moda da sembrare ridicola?

Certo fa pensare spesso all’elemosina, ad un soccorso urgente per qualche miseria nascosta o forse alla visita ad un malato, alla gentilezza di qualcuno che non parla male del prossimo. Tutt’al più potrà sembrare un balsamo per addolcire l’asprezza della vita sul piano delle relazioni individuali o anche per rimediare alle

troppo gravi deficienze della società. Dio non voglia che debba essere identificata con la “sdolcinatezza” o ristrettezza di mente e di cuore dei “benpensanti” che sceglievano i loro poveri (Renè Coste “L’amore che cambia il mondo”).

La carità non è paternalismo né assistenzialismo né pura filantropia. È la virtù teologale cristiana, regina di ogni altra virtù per cui amiamo Dio sopra ogni cosa ed in Lui il nostro prossimo. È dono gratuito di Dio, cui l’uomo dà la sua risposta.

È amore del prossimo, sacramento di Cristo, che ha come modello proprio l’amore di Cristo che non ha confini e si consuma nella morte e morte di cuore:

– È pienezza della legge: Amerai il Signore tuo Dio – il secondo è simile al primo. Da questo comandamento dipendono tutte le leggi e i profeti.

– È dinamismo di mobilitazione capace di trasformare una vita, di dare un senso, di renderla feconda.

– Un’energia che potrebbe trasformare il mondo, se vissuta individualmente e collettivamente ad un livello significativo. La carità è modo costitutivo di essere del cristiano: prima che sul piano morale dell’agire si colloca sul piano ontologico dell’essere. S. Paolo può scrivere nella lettera agli Efesini 1,4 “Dio ci ha prescelti per tutta l’eternità perché esistiamo nella carità”. Siamo dunque veramente generati da Dio nell’amore, per essere anche noi amore, nei modi concreti di cui saremo capaci. Tocchiamo l’essenza della vita cristiana: “non si è” per l’amore.

Avere come legge la carità è essenziale, perché il cristiano non è semplicemente colui che ha dato il suo nome ad una società ma è colui che afferrato da Dio, per mezzo di Cristo nello Spirito Santo, ha ricevuto nel suo cuore, nella sua anima, nella sua vita questa effusione della carità per la quale egli ha la capacità di essere testimone dell’amore del Padre.

La realtà, quindi, della vita cristiana, la realtà della Chiesa più profonda, più autentica è di essere comunione nella carità, una Comunità, una comunione di uomini amati da Dio, che hanno la capacità per il dono dello spirito di trasfondere, di manifestare, di realizzare questo amore di Dio per gli uomini verso i loro fratelli. Sicché – diceva Mons. Bartoletti al Seminario Caritas 1972 – gli uomini dovrebbero poter dire: ecco, Dio non ha abbandonato il mondo, Dio non ha abbandonato gli uomini, Dio non ha abbandonato la storia perché ha messo nel mondo e nella storia dopo di Cristo, nell’amore dello Spirito, questi uomini, cioè la Chiesa che manifesta al mondo l’amore che Dio ha avuto per Lui.”

La carità se è autentica è strettamente legata alla giustizia

“La giustizia è il gradino minimo della carità” ha affermato Paolo VI al Congresso Eucaristico di Bogotà.

Se si amano veramente i fratelli si desidera efficacemente che possiedano i beni e le condizioni necessarie perché possano sviluppare completamente se stessi secondo i doni e la vocazione ricevuta da Dio. Questo investe anzitutto i rapporti interpersonali. Ancora Pio XI metteva in guardia, nel Quadragesimo Anno, dal pericolo di dare come benevolenza quello che è dovuto per giustizia e il richiamo è ripreso dalla “Gaudium et Spes”.

Una interpretazione certamente non esatta delle parole del Signore “quod superest date pauperibus” ha spesso falsato la coscienza di molti cristiani che hanno ritenuto di essere a posto col comando del Signore elargendo in beneficenza una piccola parte di beni, spesso accumulati anche con sfruttamenti e ingiustizie. È necessario portare chiarezza su questo equivoco e aiutare a capire (come dice Don Milani) che la giustizia senza la carità è incompleta, ma la carità senza la giustizia è falsa. Inoltre, una fedele interpretazione delle parole del Signore deve aiutare a comprendere che non si tratta di elargire il superfluo, ma di condividere quello che si ha come si conviene tra fratelli, e che di fronte all’esigente comando del Signore nessuno mai è a posto: ci si chiede di essere sempre in cammino. La carità è liberazione dell’uomo dal bisogno. La carità promozione dell’uomo riconoscimento dei suoi diritti naturali alla vita, alla dignità, al lavoro, alla salute, alla cultura, all’amore, alla religione, alla libertà. Dirò brevemente della pace perché credo che sulla pace vi avranno già intrattenuti i relatori delle sere precedenti. Anche il termine pace nel linguaggio corrente risulta molto depauperato rispetto ai termini shalom dell’Antico e Cirene del Nuovo Testamento.

Siamo troppo abituati a pensare la pace come semplice assenza di guerra, come tranquillità e calma. In realtà lo Shalom biblico – come i biblisti ci insegnano – è molto di più, è un concetto che positivamente esprime un valore assoluto in una gamma amplissima di significati e in una dinamica che rende sovente difficile la distinzione tra la pace di Dio e la pace con Dio e quella molto più materiale tra gli uomini. La pace è vita piena e salvezza, è anche salute fisica, felicità, prosperità materiale, è calma, quiete, esperienza in cui si vive senza angoscia e in cui regna la felicità, non è un’esperienza psicologica soltanto, ma è concreta, quotidiana, integra, tocca l’uomo tutto intero. La pace biblica non è, però, un’utopia, non sta in un passato perduto, ma è una possibilità che Dio offre all’uomo, è una pace nella storia.

Pace e salvezza nella Bibbia sono sinonimi. L’annuncio della pace è dunque annunzio della buona notizia, del vangelo, riservato ai poveri. Quando Dio regna, quando il suo regno di amore viene tra gli uomini, allora si manifesta la pace.

Luca 4,18 “ai poveri un lieto messaggio” è l’annuncio della pace. Per questo, chi annuncia il Regno di amore, annuncia la pace, chi accoglie il regno di salvezza accoglie la pace. Di fronte alla shalom, alla pace, non sta la guerra, ma la violenza. La guerra è una delle forme che minacciano la pace, è il pericolo più grande e manifesto, ma ve ne sono altri analoghi e tutti possono convergere nella violenza, radicata nel cuore dell’uomo, ma capace di ferire tutto l’ordine di relazioni tra gli uomini, tra l’uomo e le cose, tra l’umanità e Dio.

E Dio domanda all’uomo di opporsi ad ogni forma di violenza “tu non ucciderai” Es.20,3 “domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello” (Gn.9,5).    

Come la carità la pace è dono di Dio, il suo dono più prezioso, è nella storia, ma non della storia, è un mondo, ma non è del mondo.

Dinnanzi al dono, gli uomini, però, non possono, non debbono restare passivi: essi dovranno essere operatori di pace nella mitezza e non nella violenza, nella debolezza non nella forza, nella povertà non nel possesso, nel servizio non nel potere.

Pace e giustizia come la carità postula la giustizia, così la pace è frutto di giustizia. Se è vero che la pace è un dono di Dio e non un problema tecnico, funzionale, intramondano è pur vero che esistono delle condizioni per la pace.

Quando i profeti con le loro invettive e minacce attaccano i ricchi, i nobili, i prepotenti, gli oppressori, i gaudenti non si fermano mai nello spazio dell’etica e della morale, ma denunciano la radice dell’ingiustizia che sta nell’errato atteggiamento verso Dio.

La conoscenza di Dio, l’amore di Dio, non determina soltanto l’atteggiamento intellettuale dell’uomo, ma tutto il suo operare, il suo stare nella società.

La pace sarà opera, sarà frutto di questa giustizia piena.

“sulla terra giustizia e pace si baceranno, perché verità germoglierà dalla terra e giustizia si affaccerà dal cielo” (Sal. 85,22)

Se Dio è Amore, Cristo è il Principe della Pace “piacque a Dio di fare abitare in Lui ogni pienezza; per mezzo di Lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificare con il sangue della sua croce gli esseri della terra e quelli del cielo (Col. 12,20).

Saremo dunque operatori di pace se saremo misericordiosi, se avremo fame e sete dì giustizia.

Il tema che mi è stato assegnato mi obbliga ad una trattazione parti colare del rapporto Carità – pace.

Il servizio della carità cioè la diaconia della carità educa alla pace, porta alla pace.

Per restare in sintonia con la lunghezza d’onda delle relazioni delle sere precedenti, credo di dovermi attenere ad una trattazione che si riferisca all’impegno d’amore e di pace nel contesto storico-culturale proprio del territorio di ciascuno di noi, pur perseguendo l’ideale della “grande” pace di cui abbiamo parlato restringerò l’argomento con riferimento alle relazioni interpersonali, familiari, sociali, all’interno della realtà del nostro paese. Nel quotidiano, infatti, è il primo laboratorio della pace.

Il Vangelo, impegnandoci all’amore rende decisivo per ognuno di noi, per me e per il regno, l’incontro con l’uomo, con questo uomo concreto che abita nel mio metro quadrato.

La paura che arma le superpotenze non è diversa dalla paura per l’interlocutore dei miei incontri quotidiani. Il segreto della cultura della pace è nell’unità di stile pur nell’enorme diversità di grandezza dei campi di azione. Il quotidiano è simbolo reale di tutta la vita degli uomini. In quanto reale, è una parte di questa vità, in quanto simbolo, riproduce e anticipa in miniatura quelle strutture esistenziali che presiedono ad ogni rapporto interumano, dalla conversazione alle relazioni internazionali. Il peso di tensioni che grava sul rapporto Nord-Sud è già rappresentato nell’intolleranza con cui rivendico il mio benessere privato, o viceversa, nella gioiosa libertà con cui condivido il superfluo. Esistono nel nostro paese situazioni di non-pace?

I Vescovi italiani, ripetutamente hanno realisticamente denunciato una situazione di “indivisibilità” di conflittualità permanente, di ingiustizie che rende particolarmente dura e amara la realtà sociale.

Nel documento La Chiesa Italiana e le prospettive del paese leggiamo “Il progresso economico e sociale che anche l’Italia ha sviluppato dagli anni del dopo guerra è per tanti versi innegabile. Ma con esso si sono pure affermati elementi regressivi che hanno portato alla perdita di valori, senza i quali è impossibile che quel progresso sia vero e proceda ancora per il bene comune. Conosciamo la complessità dei problemi che al riguardo occorre affrontare. Ma, innanzitutto, bisogna decidere di ripartire dagli ultimi che sono il segno drammatico della crisi attuale.

Fino a quando non prenderemo atto del dramma di chi ancora chiede il riconoscimento effettivo della propria persona e della propria famiglia, non metteremo le premesse necessarie ad un nuovo cambiamento sociale (alla vera pace!) gli impegni prioritari sono quelli che riguardano la gente, tuttora priva dellessenziale, la salute, la casa, il lavoro, il salario familiare, l’accesso alla cultura, la partecipazione. Bisogna, inoltre, esaminare seriamente le situazioni degli emarginati, che il nostro sistema di vita ignora e perfino coltiva; dagli anziani agli handicappati, dai tossicodipendenti ai dimessi dalle carceri o dagli ospedali psichiatrici.

Perché cresce ancora la folla di “nuovi poveri”?

Perché ad una emarginazione clamorosa risponde così poco la società attuale?

Con gli ultimi e gli emarginati potremo tutti recuperare un genere diverso di vita. Demoliremo, innanzitutto, gli idoli che ci siamo costruiti: denaro, potere, consumo, spreco, tendenza a vivere al di sopra delle nostre possibilità. Lì scopriremo, poi, i valori del bene comune: della tolleranza, della solidarietà, della giustizia sociale, della corresponsabilità. Ritroveremo fiducia nel progettare insieme il domani, sulla linea di una pacifica convivenza interna e di una aperta cooperazione in Europa e nel mondo.

E nellindire il Convegno Riconciliazione Cristiana e comunità degli uomini la stessa Conferenza Episcopale Italiana così ci interpella “occorrerà prendere in esame le situazioni umane primarie che vanno riconciliate a verità e speranza:

  • La dignità della persona umana così offesa nel nostro tempo, così dissociata nelle culture dominanti e così manipolata;
  • l’accoglienza e il rispetto per la vita, il rapporto uomo- donna, la condizione femminile, la famiglia;
  • i giovani, la scuola, il lavoro, l’assistenza, la salute, la corresponsabilità nel territorio.

E circa l’ottica del Convegno segnala due attenzioni importanti.

La prima riguarda la logica evangelica di una partenza “dagli e con gli ultimi” secondo le indicazioni del già citato documento “La Chiesa Italiana e le prospettive del Paese”, da sviluppare con decisione e competenza, per demolire gli idoli, affrontare i vari problemi, costruire un genere diverso di vita.

La seconda la necessità di un serio impegno culturale che apra fon date prospettive all’impegno ecclesiale.

La Chiesa tutta è interpellata perché sviluppi la sua diaconia di carità, le meravigliose potenzialità di pace del suo servizio di amore, ripartendo dagli e con gli ultimi per un’opera di riconciliazione, di autentica educazione alla pace, di promozione di pace.

Occorre ribadire con chiarezza – ha solennemente affermato il Cardinale Martini al Convegno Nazionale Caritas del 1981 – che la carità occupa il posto decisivo nella costituzione della Chiesa e nella edificazione della vita cristiana.

La Parola e i Sacramenti in cui è annunciato e si rende presente l’amore del Padre manifestato in Gesù e comunicato dallo Spirito, tendono oggettivamente e costitutivamente alla carità, mediante la quale tutta la Chiesa fa veramente, realmente, operosamente memoria di Gesù e ogni cristiano diventa capace di donare sé stesso, corpo e sangue, cioè totalmente e personalmente per il bene dei fratelli.

Il servizio della carità, non può quindi essere considerato un settore da delegare ad alcuni, ma esige la partecipazione di tutti, anche se può trovare in alcuni e in diverse gradazioni una proposizione profetica e stimolante per tutti gli altri.

Proprio in questa incapacità, in questa difficoltà delle comunità cristiane a collegare Parola, Sacramento e Carità sta la radice più profonda degli squilibri che lamentiamo: la radice delle sproporzioni tra impegnati e indifferenti, tra diversi momenti di impegno intenso e il poco impegno di carattere permanente.

Tutti coloro che credono veramente, che si cibano della Parola e della Eucaristia dovrebbero sapersi fare cibo degli altri mediante la carità, essere testimoni di amore, operatori di pace.

La diaconia della carità non si sviluppa in senso unidirezionale, ma in obbedienza ad un interiore senso dell’orientamento che permette di prendere di volta in volta la direzione giusta.

Quali le caratteristiche del servizio di carità:

  1. Anzitutto è chiamata direttamente in causa la persona che fa, la persona operante prima ancora delle cose da fare. La carità comporta anche iniziative, programmi, interventi sociali, ma il tutto a partire da un rinnovamento e da una dedizione della persona. Gli atteggiamenti personali della disponibilità, della gratuità,del perdono, dellattenzione agli ultimi, del precorrimento nei desideri, costituiscono l’indispensabile contesto in cui maturano le scelte operative e l’organizzazione dei servizi.
  2. Inoltre, la carità ha un orientamento personale nel senso di valorizzare e promuovere la dignità della persona umana. La carità ha sempre l’occhio al termine ultimo che è la persona. Le indicazioni della Bibbia (si pensi solo alla parabola del Buon Samaritano) confermate dalle scelte preferenziali fatte dalla carità cristiana lungo i secoli ci orientano a dire che la carità rivela la sua primissima origine divina nella incondizionatezza disarmata e disinteressata con cui sta davanti ad ogni uomo; lo accoglie come uomo; lo fa diventare prossimo scavalcando ogni discriminazione di razza ,di cultura, di condizione sociale, di religione, dando la preferenza a chi è maggiormente rifiutato, conferendo dignità e valore a chi ha mono titoli e diritti, compiendo un’opera di costruzione di pace a partire dagli ultimi.

Questa diaconia di carità realizza con modalità diverse, nella varietà di espressioni che lo Spirito suggerisce alla sua Chiesa ed a ciascuno dei credenti. Io vorrei fermare, però, con voi l’attenzione su una delle forme privilegiate del servizio di carità: il volontariato.

Un cenno appena che non può essere omesso. Il Volontariato può e deve essere iscritto tra i più positivi segni del nostro tempo.

Di fronte al dilagare del riflusso nel privato, del consumismo che genera feroci chiusure egoistiche, si registra questo fenomeno vasti^ simo ed in espansione anche tra noi in Italia, il volontariato.

All’’imperversare della logica dell’avere, si oppone nella logica dell’essere la scelta della gratuità, del donarsi, dell’impegno per ricostruire la realtà sociale è lacerata e violentata dalle ingiustizie, dall’odio, dall’oppressione del debole, nella lotta (l’unica ammessa) alla violenza, in tutte le sue espressioni, per edificare un mondo più giusto, più libero. Il volontario vuole mia diversa qualità di vita. Ogni persona può essere un volontario se si sente di vivere le tre dimensioni del Volontariato:

  • un servizio personalizzato: non si tratta di dare cose o soldi, ma di donare la propria persona e di rapportarsi con altre persone in chiave di amicizia e di solidarietà;
  • un servizio gratuito: chi fa servizio di volontariato non cerca il proprio interesse, ma solo il bene dell’altro;
  • un servizio continuativo: il semplice atto di solidarietà non è volontariato. Questo nasce quando di fronte ad un bisogno ci si impegna a rispondervi per tutto il tempo necessario a risolverlo o almeno per un certo tempo continuativo.

Questa scelta si può realizzare in tutte le dimensioni di vita. Esso è aperto a tutti gli uomini di buona volontà e specialmente ai credenti che si lasciano interpellare da Dio che chiama all’amore, alla pace attraverso i problemi e le sofferenze della storia umana. Sono espressioni di volontariato le famiglie singole o collegate in comunità che si aprono agli altri per accoglienza, affidamento familiare, sostegno di nuclei con handicappati.

Vi è poi un volontariato di gruppo che è la forma più diffusa che presenta caratteristiche molto valide:

  • assicura la continuità del servizio;
  • consente di unire la preparazione del volontariato, la loro formazione permanente, una verifica seria del lavoro;
  • rende possibile – accanto al servizio – di sviluppare un altro ruolo: essere cioè elemento di coscientizzazione e di responsabilizzazione della comunità religiosa e civile e di essere stimolo alla giustizia premendo sulle autorità pubbliche, perché rimuovano le cause di povertà e di emarginazione
  • permette ai volontari di presentarsi come soggetto politico organizzandosi come associazione civilmente riconosciuta.

Essi operano nei settori più svariati: sanitario, assistenziale – promozionale, sociale, culturale.

L’unico loro obiettivo è il servizio dell’uomo.

Circa un migliaio di gruppi negli ultimi quindici anni: una rete reale, da molti forse ignorata, che copre tutto il territorio nazionale. Mons. Nervo in un suo intervento ad un Convegno alla Mendola (1981) su parrocchia e servizi sociali si domandava: come si pone la comunità cristiana di fronte al civile per quanto riguarda questa espressione della sua carica di amore cioè di (fronte al volontariato?

E rispondeva che funzione della Chiesa è riconoscere il carisma, alimentarne le motivazioni e lo spirito attorno alla Parola di Dio e all’Eucaristia, contribuire alla formazione specifica dei volontari, aiutarli a individuare le modalità di inserimento e gli strumenti di azione.

Sono gruppi portati ad operare soprattutto in forme alternative più che in quelle tradizionali, con una carica di notevole sensibilità politica per cui mentre intervengono nei singoli casi di emarginazione, ne ricercano le cause e mettono in discussione l’attuale sistema sociale, politico ed economico. Gruppi scomodi, ma segno prezioso di vita da favorire con cura, rispetto, fiducia.

Volontari per il Terzo Mondo

Sono ormai migliaia i giovani che per un periodo più o meno lungo della loro vita hanno vissuto una esperienza di volontariato in uno dei Paesi in via di sviluppo,direttamente impegnati a promuovere la pace.

Lo sviluppo è il nome nuovo della pace. Sono riuniti in una confederazione FOCSIV che si rivolge a tutti i paesi del Terzo Mondo con pluralità di servizi. Il volontariato delle congregazioni religiose. Includerei nel fenomeno del Volontariato due precise espressioni di scelte giovanili.

  • L’obiezione di coscienza o il servizio civile

Alto valore di resistenza democratica alla violenza, anche a quella istituzionalizzata degli eserciti o espressa nella corsa agli armamenti, di profondo valore religioso (attuazione del precetto evangelico dell1amore) proposta concreta di pace e di servizio agli ultimi. Purtroppo nella nostra realità meridionale sono ancora pochi i giovani che fanno obiezione di coscienza e la scelta del servizio civile. Particolari resistenze della nostra cultura? Carenza di informazione? Vita asfittica dei nostri movimenti giovanili che non colgono fermenti così validi? Paure o incapacità delle nostre comunità cristiane ad aprirsi al nuovo, ad essere più disponibili all’azione dello spirito di pace?

  • Il noviziato alla vita

Una parola, almeno, mi sia consentita su una meravigliosa espressione di volontariato, di diaconia della carità che sta fiorendo anche in Italia, soprattutto in campo cattolico. Alla conclusione del Convegno ecclesiale su “Evangelizzazione e Promozione Umana” del novembre 1976, venne accolta da particolari, significativi applausi la mozione della VI Commissione invito alla Chiesa Italiana di farsi carico della promozione del servizio civile sostitutivo di quello militare, come scelta esemplare e preferenziale dei cristiani e di allargare le proposte di servi zio civile anche alle donne”. Tra le esigenze maturate nella realtà ecclesiale italiana può essere ormai salutato l’anno di volontariato delle donne. È l’ultima forma emergente nel variegato panorama del volontariato, segno dell’amore che non muore, così viene presentata l’esperienza nel volume edito di recente dalla Caritas Italiana “Anno di volontariato sociale delle donne”.

È un’esperienza che ha tutte le caratteristiche qualitative del volontariato: si apre a tutti gli spazi del bisogno, della povertà, dell’emarginazione, ma vi aggiunge, come elemento specifico, la totalità dell’impegno, sia pure per un periodo limitato di un anno, e l’uso di un tempo particolare di riflessione sul senso della propria esistenza e di rilancio di tutta la vita come servizio. Vi sono in Italia oltre cinquanta esperienze in atto. Qualcosa si va muovendo nella nostra realtà meridionale, ma ancora in misura molto modesta. La generosa Messina non potrebbe essere antesignana in Sicilia anche in questo settore?

Quale il nesso tra i servizi di carità, la testimonianza di amore e la pace? Non c’è nulla di più difficile che dimostrare ciò che per sé è ovvio. Sofferenza nel tentativo di enucleare la risposta.

Visita di Mons. Helder Camara a Reggio.

La stessa domanda: la risposta “Giustizia + amore = pace”.

Come una folgorazione interiore. Mi permetto offrire dati esistenziali. Situazioni di non pace da me incontrate: (Ospedale Psichiatrico, Ragazze Madri, giovani sbandati, caratteriali, dimessi dal carcere).

Tentativo di risposta da parte della comunità in chiave di amore.

  • Riconoscimento della dignità della persona;
  • Aiuto promozionale;
  • Frutto di giustizia e di amore: la pace (con tutti i limiti propri delle esperienze umane);
  • Nella nostra vita personale;
  • Cassibile;
  • Casa Accoglienza;
  • Mario;
  • Claudio.

L’amore attivo, attivo, forte, generoso è la più alta scuola di educazione alla pace.

Concludo rubando un’immagine a René Coste: “L’amore che cambia il mondo”.

Un fiume di fuoco che ha le sue origini misteriose in Dio e che attraversa tutto il cammino della storia.

Il fuoco: uno dei simboli più evocatori e più esistenziali dell’amore, quando è intensamente vissuto.

Il fuoco dell’Oreb, della liberazione contro ogni oppressione.

Il fuoco della Pentecoste: invito universale a vivere la fraternità che Cristo era venuto a iniziare.

Il fuoco del celeste Loghion di Gesù ripreso da Luca: “sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso” (12, 49).

È il fiume nel quale affluiscono le acque torbide dell’odio, della violenza, del sangue e che, in virtù della sua forza purificatrice, purifica ogni espressione di male e rigenera la pace.

Bisogna evocare l’amore come dinamismo trasformatore della storia di ogni uomo, di un popolo, di tutta l’umanità.

L’amore come realtà storia.

La storia individuale, collettiva, non è solo la storia della violenza. È quale noi la facciamo, in collaborazione con la Grazia di Dio, e dipende da ognuno di noi che sia più o meno fraterna, una storia di pace.

Grida Agostino d’Ippona nel suo commento alla lettera di Giovanni: “La lingua dice quel che può; il resto è il cuore che deve comprenderlo”.

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