Quando Pietro Ingrao e don Italo Calabrò…

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Reggio sta vivendo un momento storico in cui sta cercando di rialzarsi dall’esperienza devastante che è stata lo scioglimento per mafia, il commissariamento, la situazione di dissesto finanziario che perdura ancora oggi. Giuseppe Falcomatà, con la sua Giunta, ha accettato la sfida e sta tentando di fare rivivere alla città, come ha fatto suo padre, una nuova Primavera. E’ sotto gli occhi di tutti che sta percorrendo una strada tutta in salita, non potendo nemmeno contare sulla solidarietà del Governo nazionale più volte promessa ma che finora non si è vista. Un compito immane perché non si tratta soltanto di avviare una stagione di buona amministrazione e un programma credibile per fare ripartire un’azione di sviluppo locale credibile. Serve, accanto a questo, l’impegno per ridare speranza di cambiamento e senso di appartenenza a questa città, dove la diffidenza, il pessimismo e l’individualismo sono ancora prevalenti e dove i gruppi di potere mafioso e affaristico continuano a coltivare i loro disegni criminali. In questi momenti storici è anche importante che la città non perda la sua memoria, che cerchi di fare tesoro della lezione che può venire da alcuni grandi testimoni e costruttori di cambiamento che nel passato hanno contribuito, con la loro vita e con le loro opere, a dare un’anima a questa città e alla regione tutta, che hanno seminato bene e lasciato frutti della loro eredità spirituale e civile. E’ grazie anche al loro insegnamento che oggi non partiamo da zero e possiamo fare altri passi avanti nella costruzione di una Reggio piu’ giusta, inclusiva e libera dalle mafie e dall’illegalità. Uno di questi testimoni è stato indubbiamente don Italo Calabrò di cui faremo memoria nei prossimi giorni in occasione dei venticinque anni dalla sua scomparsa.
Don Italo Calabrò è stato un grande riferimento spirituale e morale per la Chiesa ma anche per la città di Reggio, per la Calabria, per tutto il Sud. Egli ha nutrito un amore profondo per la sua città, a cui era orgoglioso di appartenere, una città che definiva violenta, ma anche violentata, a causa del sistematico abbandono che subiva da parte dello Stato centrale. Tra i tanti spezzoni della sua vita voglio ricordare un evento che ritengo sintetizzi bene il suo approccio ai problemi della nostra comunità, ma anche la sua grande apertura al dialogo con tutte le persone di buona volontà. Tra le mie carte ho trovato gli interventi fatti da Pietro Ingrao e da don Italo Calabrò in un convegno tenuto dall’ora PCI nel 1989, a ridosso delle elezioni amministrative. Li ho trovati di grande attualità rispetto ai problemi che oggi stiamo vivendo come città e come regione. I due combattenti, da sponde diverse, per la giustizia sociale e per il lavoro, non solo si scambiarono sinceri e calorosi attestati di stima si ritrovarono a condividere una lettura comune della situazione della città. Reggio stava uscendo da una guerra di mafia che aveva provocato mille morti e fatta precipitare Reggio in un pozzo di disperazione e in un ulteriore isolamento come era già successo durante i moti di Reggio. Ingrao e don Calabrò indicarono il lavoro come strada principale per il riscatto dei giovani e per la liberazione dalle mafie, una politica che scegliesse di ripartre da un vero radicamento sociale e dal dialogo con il popolo, la difesa dell’ambiente come occasione e risorsa di sviluppo, la necessità di non cedere al lamento e alla tentazione dell’assistenzialismo, una visione della città a misura degli ultimi. Ed ancora la condivisione sull’importanza del fenomeno allora in fase di sviluppo del volontariato come forma efficace di comunicazione e di cura delle relazioni con le persone e l’attenzione ai nuovi movimenti, oltre la forma partito. Sono stati questi i temi che in modo profetico hanno unito non solo in quell’occasione questi due grandi vecchi della sinistra sociale e di quella Chiesa che oggi definiremmo vicina alla visione di Papa Francesco. In quel convegno don Italo raccontò della sua sofferenza e della sua impotenza di fronte al bagno di sangue che si era abbattuto sulla città e sui paesi circostanti. Come una sorte di Via Crucis a quel tempo li percorreva come Vicario Generale in lungo e in largo, per consolare le vittime, per condannare, per esortare a un ritorno alla pace e alla legalità, per invitare alla ribellione i giovani, da Fiumara a Villa S. Giovanni, ad Archi, il quartiere che ha amato particolarmente e dove ben 176 furono le persone uccise durante quella guerra. Si ritrovarono anche nel giudizio sui moti di Reggio che fu autentica rivolta popolare contro una ingiustizia dello Stato centrale ma che ha avuto i limiti di un movimento di protesta che non seppe parlare al paese.                                     Oggi per Reggio, proprio per i tempi difficili che sta vivendo, la figura di don Italo può rappresentare uno dei riferimenti da cui ripartire, per ritrovare l’energia, per recuperare le ragioni ideali su cui fondare un nuovo progetto di città. In questo senso, le iniziative per celebrare il venticinquesimo anniversario della sua scomparsa, curate da una commissione diocesana istituita ad hoc, serviranno non solo a far conoscere la testimonianza di vita di questo sacerdote reggino ma soprattutto a raccoglierne, come ha detto l’arcivescovo Morosini – il valore di “profezia” che essa ha incarnato, per renderlo attuale rispetto alle esigenze e ai bisogni che continuano a interpellare la comunità. “abbiamo il compito di raccogliere quella profezia, di perfezionarla e adattarla ai tempi in cui viviamo”. L’occasione più importante per fare memoria sarà il 15 Giugno alla sala Calipari del Consiglio regionale che vedrà la partecipazione di don Luigi Ciotti, di Marco Minniti, di Corrado Calabrò, di Giuliano Quattrone con l’introduzione del vescovo Morosini.

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